venerdì 20 aprile 2012

Ottantaquattro più di quanto necessario, ma, probabilmente, sono cinquecentottantaquattro più del necessario. E' ancora presto per tirare un sospiro di sollievo, "at tu Catulle, destinatus obdura". So di potercela fare, in fondo. Ce la devo fare. Mi sento sabotata, a un pelo dal cappio. Ma va bene così, mi getto sullo studio, mi getto sulle sorprese, sull'isteria e il nervosismo. Niente latte, niente più zucchero. Niente di niente.
Divertente, cantar vittoria troppo presto. Soffrire di bulimia nervosa è logorante, un'illusione continua; non posso non riagganciarmi ancora una volta al Miser Catulle, con la sua antitesi di autocompatimento e autoesortazione. Schiaffi e carezze, una successione di applausi e fischi, che, a lungo andare, diviene sfibrante. Ovviamente, le cose non sono finite come speravo. Due giorni di abbuffata, uno dietro l'altro. Il centodiciotto a portata di mano, lo stomaco in procinto di esplodere - immaginate una roccia dura subito sotto il seno, un mostro che iscoia ed isquatra dall'interno, per dirla alla Dante - io sull'orlo di un baratro che porta le mie iniziali e che sussurra con la mia voce. La stanchezza si fa sentire. Lo stress si fa sentire. L'unica a non farsi sentire è la mia forza di volontà: sempre troppo fiacca, sempre troppo debole se comparata a tutto il resto. C'è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo, ma non vedo alternative. Il tunnel non è ancora finito.

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Isegoria.