venerdì 4 maggio 2012

86.7

Colazione: mezzo kiwi e un caffè.
Pranzo: l'altra metà del kiwi.
Post-pranzo: caffè.
Spuntino: caffè. 

Cena, (sì, alle sei e ventiquattro): mezzo kiwi e un caffè. 


Devo studiare tutta la notte: grazie al cielo, oltre algebra, a tenermi compagnia ci sarà Ungaretti.
Avete presente la lirica che apre il Porto Sepolto? 'In Memoria', è il titolo. In memoria di Moammed Sceab.
In memoria
di
Moammed Sceab
discendente
di emiri nomadi
suicida
perchè non aveva più
patria

Amò la Francia
e mutò nome in
Marcel
ma non era francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando caffè

E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono

L'ho accompagnato
insieme alla padrona dell'albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal N°5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa

Riposa
nel camposanto d'Ivry
sobborgo che pare 
continuamente
in una giornata
di una decomposta fiera
E forse io solo 
so ancora
che visse

Saprò 
fino al mio turno 
di morire

Ho sempre pensato che si trattasse di una prolessi personale, qualcosa scritto appositamente per capitarmi fra le pupille. Moammed Sceab, il girovago sradicato: tagliare le proprie fondamenta per acquistare un nuovo corpo e una nuova mente; una nuova cultura e delle nuove possibilità. Dimenticarsi di sé, farlo in maniera talmente profonda da non realizzare quanto cruda e apatica sia la realtà: è un'immagine tragica, quella di un uomo che abbandona se stesso e rimane spogliato di qualsiasi cosa, incastrato in un limbo che non gli permette di raggiungere gli abiti per cui aveva rinunciato a tutto. Rimanere nudi in un Nulla estremo.
Ora è solo un miscuglio di sensazioni, ma quando sarò a Parigi - quando avrò colonizzato anche il mondo concreto con l'assurdità delle mie ambizioni - allora diverrà qualcosa di assolutamente raccapricciante. Rileggerò questo prologo e mi si gelerà il sangue. Mi si spezzerà il cuore. Spargerò briciole di cervello per le strade del XVIII arrondissement - come petali davanti all'altare - e, boom, imploderò. 

Scusate il papiro pseudo-depressoide, è una giornata così.




5 commenti:

  1. Si, è decisamente un'idealizzazione tanto bella quanto tragica.
    Ma ad essere sincera, io mi sono soffermata quasi più sulle ultime strofe.

    "E forse io solo
    so ancora
    che visse

    Saprò
    fino al mio turno
    di morire."

    Sottolinea quanto siamo i protagnisti di una storia che finirà nel dimenticatoio.
    La si può prendere male, e pensare che sia una cosa terribile, pensare che sia tutto vano e inutile e senza senso.
    E di fatti lo è.
    Ma la si può prendere bene, e pensare che qualsiasi cosa tu faccia, giusta o sbagliata nessuno la ricorderà, non avrà importanza per alcun individuo; qualsiasi cosa tu faccia sarà semplicemente e irrisoriamente un nunnulla.
    Lo trovo fantastico.
    Aumenta le calorie.
    Ti stringo;
    elle

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    1. Guarda, questa poesia è una coltellata ad ogni enjambement.

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  2. Ti consiglio vivamente di non immedesimarti troppo, io studiando letteratura vado in una piacevole depressione...

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  3. quando perdiamo le nostre radici una volta ritornati non ci sentiamo più parte di esse..
    e non siamo parte neanche dell'altro mondo che abbiamo scelto di essere..

    ma io credo che Ungaretti voglia lasciare un briciolo di appiglio di speranza facendo intendere che quest'uomo senza patria ha avuto una patria..nel suo ricordo..
    anche se destinato anch'esso a sparire al termine della vita..
    ma il girovago non è vissuto invano perchè c'è c'è stato chi sapeva.chi sapeva.che ERA.

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Isegoria.